Rassegnati all ’ironia italiana

Binetto: «Io sono un rottamato, chi ho
sistemato, ho sistemato!»
Checco: «No, Senatore, a me avete già
sistemato, io sono del paese vostro, voi
avete sistemato mio padre al Comune e
mio zio alla Regione.»
Binetto: «A te dove ti ho messo a non
far nulla?»
Checco: «Alla Provincia!»
Binetto: «Ah, sudore, sudore!»
Checco: «Ma ora avrà sentito, Senatore…
mi mettono in mobilità!»
Binetto: «Ma che mobilità, quelli vogliono
licenziare!»
Adesso ero davvero solo, in balia di un
destino avverso, ma l’angelo custode
non abbandona i suoi posti fissi.

Quo vadis, commedia (italiana)? Pare davvero poco lontano, nemmeno oltralpe:
conosciamo benissimo la tua incapacità di uscire dalle frontiere nazionali,
sappiamo che ti rivolgi soltanto al pubblico che gioca in casa. Sei rinchiusa
nello stivale. Oppure è lo stivale che è impantanato nel fango? Qualcosa
all’interno della coscienza del Paese cela il segreto delle tue direttive di produzione.
Quale Finlandese, Svedese o Tedesco coglierebbe al volo, al pari di un Italiano
medio, il significato dell’espressione “posto fisso” nell’accezione che Zalone
ha creduto – volutamente in modo poco diplomatico – di conferirgli? Ripercorrendo
qualche tappa della storia della commedia italiana, ci accorgiamo che il
suo declino dalla “classicità” inizia negli anni Settanta: i produttori cominciano
ad affidare compiutamente la regia dei film a quei nuovi comici partoriti dai
cabaret televisivi. Proprio da qui viene lo stesso talentuosissimo e geniale Luca
Medici, alias Checco Zalone, uno dei tanti capaci di farci ridere di noi stessi.
Perché solo di noi? E perché ridiamo solo noi? In queste condizioni non dovrebbe
trattarsi di una tanto ostile ed ardua impresa. Quali condizioni? La risposta
potrebbe essere semplice: l’Italia si trova in un frangente di tale sgretolamento
– al cui tentativo di arresto rinunciano ogni giorno sempre più persone –
da permettere all’arte dello spettacolo di ironizzare su quanto essa sia miseranda
ed avvilente agli occhi dei cittadini che, quando siedono in platea, si identifica no nelle vittime del sistema stesso e del mondo, impotenti, isolate, difettose.
Perciò si ride, così. Impotenza: la bandiera bianca si sta issando. Vero che ridiamo
amaramente dei nostri guai, ma anche che Zalone come altri denuncia
e stimola la reazione dei connazionali. Se nessuno fa rapporto, nessuno si attiva.
Se la realtà fa ridere, perché non rappresentarla? Non possiamo proprio
prendercela con quei comici che rappresentano l’Italia divisa fra Nord e Sud,
l’Italia della corruzione, delle mafie e degli scandali, l’Italia dei dipendenti
pubblici che timbrano il cartellino per poi tornarsene a casa, incontrarsi al bar
fra colleghi oppure far finta di lavorare al fine di concepire in sé stessi una falsa
ragione per esistere e non deprimersi di fronte allo scempio di cui sono corresponsabili.
Come può pretendersi che un artigiano ed un commerciante senza più lavoro, oppressi dai tributi, non ridano in sala durante la proiezione, arresi allo sconforto? Morale di ciò
è soltanto che prima di armarsi contro l’ironia della tragica comicità italiana,
come ha fatto la critica televisiva, sarebbe bene fare un passo indietro e garantire
a tutti gli stessi diritti. Tutti hanno (per legge) diritto a difendersi, ma per
quale perversa ragione servono quattro anni di processo pagato (dai cittadini)
per licenziare un impiegato che timbra il badge in pigiama e torna a letto? L’illogicità
è incolpevole, solite questioni di “affari pubblici”. Qualcheduno risolverà
tutto con il sorriso, andrai in vacanza anche tu. Lo farà dopo essersi occupato
d’altro, te ne sarai nel frattempo dimenticato, ma ti convinceranno che sarai
salvo. In effetti, le commedie possono fungere da indicatrici della salute sociale,
ma in questo caso la diagnosi si preferisce lasciarla all’assorta immaginazione
di ognuno di Voi. Non illudetevi troppo. Per non rimanere con l’amaro in bocca, io dico: prognosi riservata.

«Se la commedia classica era quella dei “mostri”, la commedia italiana contemporanea è quella dei “poveri cristi”. La satira è stata rimpiazzata dalla compiacenza.»
(La Lettura #217 de Il Corriere della Sera)

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