Immigranti e disintegrazione: un Natale italiano meno bianco del solito

Cattura 3

“I cuori semplici, pregando ai piedi del Presepio, vedono nel Natale una luce di speranza nella tragedia del nostro tempo. Nel mondo di oggi, tutto è frastuono e disordine; nel Presepio tutto è ordine, raccoglimento, spirito soprannaturale. Il Presepio è lo specchio di una società capace di rendere gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà.”

…diceva qualcuno, qualche tempo fa. Mentre noi oggi lo vediamo, qualcheduno lo vive direttamente. Qualcun altro – laico o cattolico che voglia dichiararsi – pare essersi
invece dimenticato che i valori della nostra società civile provengono dai preziosi insegnamenti della fede cristiana, come vediamo oggi nel nostro Papa, Francesco, il quale ha dimostrato la sua pietà addirittura portando ad Assisi un esile scafo sequestrato ai trafficanti di uomini per ospitarvi un presepio all’interno. Un presepio? A proposito, qualcun altro ancora sembra essersi dimenticato di avere un’identitàculturale, e che sia vitale conservarla, a meno che non si voglia perdere il proprio senso di appartenenza in previsione di un futuro fatto di persone tutte uguali. È per questo che staccare un crocifisso dalla parete della classe, abolire i canti natalizi e dimenticare il suono del violino perché molesto, per chi è ospite di una cultura altrui non è integrazione, bensì piuttosto – mi piace chiamarcela – disintegrazione. Ciò è antonimo di accoglienza e terribilmente analogo
all’assestare un colpo esiziale ai pilastri della nostra società, vale a dire alla religione cattolica che ci tiene uniti nel bene e nel male, alla nostra cultura che – seppur apparentemente indelebile, in quanto messa nero su bianco – si sta sgretolando,
e pian piano anche alla nostra collettività, Stato, popolo, Nazione… poiché, se ci chiamiamo Italia, e non Arabia o Turchia, un motivo c’è. L’italiano – si dice oggi – è
troppo europeista: si dice giustamente che non apprezzi la sua magnificenza, ma la lasci in mano al forestiero – il quale la custodisce meglio di lui, ma la diffonde, esporta e spaccia
per propria. È dai tempi di Napoleone che ci auto-depriviamo del nostro patrimonio. L’Italiano deve essere viceversa patriottico, orgoglioso di ciò che per sua ventura possiede, e deve mostrare ad un ipotetico immigrato la sua meraviglia, condividendocela. Questo significa integrare, paradossalmente: portare l’Italia nel mondo piuttosto che il mondo in
Italia. Che la cultura rimanga nel luogo dove è nata, proprio per quello stesso senso di identità già citato. Perciò, si riappenda la croce al muro – simbolo non solo di chi professa
il Cristianesimo ma dei diritti e della libertà di noi tutti – si canti, si suoni il violino e si realizzi – come secondo secolare tradizione – il presepio utilizzando il proprio spirito e
la propria inventiva, creando il mondo che si vorrebbe esista davvero. Se hai paura che a qualcuno non piaccia, ogni terra è di transito, chi vuole se ne va, e pagagli il viaggio.

«Nessuna religione ha generato tanta cultura come la nostra» (Vittorio Sgarbi)
Citazione iniziale di Roberto De Mattei

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