Alla scoperta dell’universo

onde gravitazionali“Signore e signori, abbiamo rilevato onde gravitazionali” Con queste parole,
proferite dal prof. David Reitze, si apre una nuova possibilità di studiare l’universo
che ci circonda; ma non solo, con questa osservazione siamo riusciti a dimostrare
ciò che Einstein aveva teorizzato con una “gran parcata di calcoli” cento
anni fa. Ma cerchiamo di capire cosa stiamo festeggiando, prima di stappare
lo spumante. Cosa sono le onde gravitazionali? Sono increspature nel tessuto
spazio-temporale. Immaginate che lo spazio sia un gigantesco tappeto e che i
corpi celesti siano palline di masse differenti.

Queste palline, se poggiate sul tappeto, lo piegano, più sono grandi e più lo spazio si deforma per effetto della
gravità. Prendiamo in considerazione il nostro sistema solare: se poniamo una
pallina bella grande (il Sole) sul tappeto e poi facciamo rotolare una pallina molto
più piccola (la Terra) nella sua direzione, noteremo che la Terra comincia a ruotare
intorno al Sole seguendo l’incurvatura spaziale formata da quest’ ultimo. Detto
ciò, le onde gravitazionali vengono prodotte quando i corpi accelerano, modificando
così la deformazione spaziale, ogni oggetto dotato di massa e/o energia
può generare onde gravitazionali, se cominciaste a ballare a braccetto con un
vostro amico, uno intorno all’altro, creereste delle onde gravitazionali, ovviamente
impercettibili. Siccome la gravità è una forza molto debole rispetto a tutte
le altre nel nostro Universo, per produrre grandi onde, necessitiamo di due oggetti
giganteschi (come due buchi neri), che si muovano ad una grandissima velocità.
Questa è la teoria, e fin qua tutto bene, il problema nasce nell’osservazione. Come
possiamo analizzare una deformazione spaziale? 400 anni fa il nostro carissimo
Galileo Galilei, rivolgendo un cannocchiale verso il cielo, creò il metodo
di osservazione astronomica moderna. Ma questo tipo di studio non può essere
utilizzato per capire se effettivamente lo spazio si deformi da un punto A ad un
punto B, poiché servono punti di riferimento fissi. La soluzione, che sicuramente
consegnerà un premio Nobel all’equipe del LIGO (osservatorio interferometro
laser delle onde gravitazionali), sta nella luce. Infatti se lo spazio tra due punti si
dilata, allora la luce impiegherà più tempo a navigare da un punto all’altro, e viceversa,
se lo spazio si restringe la luce ci metterà meno tempo. Il LIGO è un laboratorio
a forma di L, dotato di due tunnel lunghi quattro chilometri, che usa laser
per misurare il cambiamento spaziale tra le estremità dei tunnel. La cosa emozionante
è ciò che ci aspetta dall’altra parte, cosa possiamo scoprire grazie a questo
nuovo metodo, cosa avviene al di fuori del nostro piccolo pianeta. Come diceva
lo scrittore francese Marcel Proust: “L’unico vero viaggio verso la scoperta
non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.”

Laura Josephine McNeil

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