L’immigrazione nella storia italiana

I fatti recenti a dir poco drammatici avvenuti al largo dell’isola di Lampedusa hanno riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema dell’immigrazione verso il nostro Paese, la regione europea più vicina per molti Stati che si affacciano sul Mediterraneo e tappa obbligatoria anche per quanti fossero intenziona-ti a raggiungere i Paesi del nord Europa.

Come valutare correttamente questo fenomeno? Per evitare di farci un’idea sbagliata cerchiamo di capire quali sono stati i flussi migratori che hanno interessato il nostro Paese durante tutta la sua storia.

Tutta la migrazione contemporanea è caratterizzata da flussi provenienti dall’Est Europa verso l’Ovest e, soprattutto, dal Sud al Nord del mondo, nel tentativo di sfuggire da guerre, carestie, persecuzioni e conte-sti di povertà privi di possibilità di emancipazione. Negli ultimi dieci anni i migranti sono aumentati a livello mondiale di 64 milioni di unità e secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni nel 2011 am-montavano a 214 milioni. Contrariamente a quello che può emergere dagli ultimi fatti di cronaca, le comu-nità straniere più numerose in Italia non sono quelle africane o medio orientali bensì quelle rumene e al-banesi.

Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, su circa 22.200.000 residenti gli stranieri erano appena 90mila (1 ogni 250 abitanti) e per la maggior parte rivestivano posizioni sociali importanti. Ma a differenza della Francia, la quale contrastava il calo demografico con una politica di inserimento degli stranieri, o della Germania, che sosteneva il proprio sviluppo impiegando su larga scala gli immigrati (principalmente polacchi e italiani), per l’Italia iniziava il periodo della grande emigrazione che in un secolo avrebbe visto più di 30 milioni di espatri, e che andava ad aggravare ancor di più, il calo demografico e la condizione di mancato sviluppo del Paese.

Anche il nostro è stato quindi un popolo di migranti (e continua ad esserlo in forma diversa con la cosiddet-ta “fuga dei cervelli”) e i nostri connazionali che fuggirono da miseria e fame trovarono un loro posto nelle Americhe e nei Paesi europei, ma non sempre si trattò di una buona accoglienza, anzi si verificarono feno-meni di “italofobia”, basti ricordare fra tutti gli scontri tra la comunità francese ed italiana ad Aigues-Mortes e la condanna a morte negli Stati Uniti di Sacco e Vanzetti.

In quest’ottica l’emergenza-immigrazione dovrebbe lasciare il posto ad una politica di integrazione: i 150 anni dell’Unità d’Italia ci ricordano un passato di esodo con tante sofferenze che potevano essere evitate. Del resto anche la Caritas e la Fondazione Migrantes, le migrazioni vanno riconosciute come un segno dei tempi e un’opportunità che la storia ci mette a disposizione per prepararci al futuro e superare momenti, come quello attuali, di profonda crisi.

Nel 1951, anno del primo censimento dopo la seconda guerra mondiale, gli stranieri erano 130mila su 47.516.000 residenti, e superarono l’incidenza dell’1% solo quaranta anni dopo, nel 1991 (625mila su 56.778.000 residenti). È da allora che in Italia è iniziata la fase della grande immigrazione, che con una cre-scita esponenziale ha superato 1 milione di unità nel 2001 (1.334.889). Al 31 dicembre 2010, su 60.626.442 residenti, i 4.570.317 stranieri sono il 7,5% della popolazione (52 volte in più rispetto al 1861). Ciò nono-stante l’Italia non è il Paese europeo che ospita il maggior numero di stranieri, contrariamente a quello che sembra emergere dalle notizie diffuse dai media anche online: è preceduta dalla Germania (7,2 milioni) e dalla Spagna (5,6 milioni).

Ma in prospettiva, la diminuzione della popolazione in età lavorativa e il calo della natalità che caratterizza tutta l’Europa e l’Italia in particolare, non potrà che continuare ad attrae sempre più i flussi migratori di persone che si muovono per avere migliori speranze di vita e di lavoro per sé e per i propri figli.

Come ha fatto notare l’astronauta Paolo Nespoli, dall’alto la Terra appare senza confini e i fatti tragici di cui sopra, dimostrano che tentare una “chiusura ermetica” è impossibile: anche un’opera come il muro che gli USA stanno costruendo lungo il confine con il Messico, è assolutamente anacronistica e per questo senz’altro inefficace.

Al contrario, le politiche in tema di immigrazione dell’Unione Europea si sono indirizzate ad attrarre immi-grati qualificati, evitare l’immigrazione clandestina e promuovere l’integrazione nella società degli immigra-ti regolari, favorendo da una parte il ricongiungimento familiare e dall’altra il rimpatrio degli irregolari.

Dal 2005 la Commissione Europea ha rilanciato il dibattito sulla necessità di norme comuni in materia di ammissione dei migranti per motivi economici e sulla lotta all’immigrazione clandestina. Il programma di Stoccolma, adottato dai capi di Stato e di governo dell’UE nel dicembre 2009, ha definito una serie di prin-cipi in vista dello sviluppo delle politiche europee inerenti la giustizia e gli affari interni fino all’anno prossimo in cui le problematiche delle migrazioni saranno una parte essenziale.

Come già accennato è importante fare attenzione al fatto che i maggiori flussi migratori avvengano via ter-ra, sfruttando le tradizionali linee di comunicazione ferroviarie e stradali, tuttavia i media danno maggior risalto quasi esclusivamente all’immigrazione via mare, facendo leva sulle vittime degli incidenti delle “car-rette del mare” nel Mediterraneo.

A partire dal 2008 questi flussi migratori marittimi si erano ridotti di dieci volte grazie all’entrata in vigore di accordi bilaterali che l’Italia aveva stipulato con i governi dell’Africa del Nord (Tunisia, Egitto e Libia), ma le successive proteste della Primavera Araba che hanno provocato il cambiamento di molti governi di que-sti Paesi senza il raggiungimento di una nuova stabilità politica, economica e sociale, hanno determinato la ripresa del fenomeno su vasta scala.

Dario Bovini

Ho molte passioni tra le tante spicca la lettura, faccio parte della redazione de IISaggiatore e quando scrivo, in quello che scrivo, ci metto sempre l'anima.

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