PER SAPERNE DI PIÙ

Per femminicidio si intende qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Il fenomeno era fortemente radicato nelle società dei tempi antichi. In lingua inglese questo termine veniva già usato nel 1801 in Inghilterra per indicare l’assasinio di una donna, per distinguerlo dall’omicidio
Sessantaseimila donne e bambine vengono uccise ogni anno nel mondo.

Al vertice della classifica mondiale troviamo l’India: le ragazze continuano a essere vendute come schiave, date in sposa anche a dieci anni, bruciate vive e abusate sessualmente; secondo le statistiche della polizia indiana a New Delhi c’è una violenza sessuale contro le donne ogni 18 ore.
In Cina 1 bambina su 6 che nascono viene abortita, uccisa subito dopo la nascita, abbandonata o malnutrita. Inoltre, per far posto ad un possibile figlio maschio, le bambine non vengono registrate ufficialmente, perdendo così la copertura sanitaria e la possibilità di ricevere un’educazione. Si spiega dunque l’enorme sproporzione tra maschi e femmine all’interno dello stato: ci sono 120 maschi per 100 femmine, quando il tasso biologicamente normale è di 105 maschi per 100 femmine.
In Europa 5,84 donne su un milione vengono uccise ogni anno. In Italia nel 2012 ci sono stati 124 casi di femminicidio e sono più di 9.000 le denunce per abuso registrate. È facile credere che il pericolo per le donne sia la strada e la notte, ma lo è molto di più la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano ad una verità inconcepibile: il 56% delle donne nel 2012 sono state uccise dal proprio partner, il 18% dall’ ex-partner, il 19% da un parente, il 7% da un conoscente e solamente il 24% da uno sconosciuto. C’è una specie di triste consuetudine a guardare la violenza ed i maltrattamenti nei confronti delle minoranze etnico-religiore, ma con il femminicidio chi subisce è più della “metà del cielo”, cioè si tratta della maggioranza degli esseri viventi, anzi per la precisione solo umani, dal momento che il fenomeno non è presente nello sterminato mondo animale.
L’uomo non sopportando il tradimento o l’allontanamento della propria compagna, piuttosto che assumere su di se’ il peso della solitudine e del fallimento, si sente autorizzato ad agire violentemente per ristabilire l’autorevolezza della propria presenza messa in crisi dalla libertà o dall’abbandono dell’altra. La violenza e’ la risposta ad un insuccesso che sembra non aver piu’ diritto di cittadinanza nel modello comportamentale vincente.
Nonostante i dati allarmanti, si e’ andata ampliando la reazione negazionista che sostiene che gli uomini uccisi sono piu’ numerosi delle donne uccise. Questo e’ vero salvo che il confronto vada fatto tra le donne uccise da uomini e gli uomini uccisi da donne e allora la tesi diventa irrisoria. Se nel complesso il numero degli omicidi è in rilevante riduzione, mentre quelli contro le donne rimangono inalterati, vuol dire che la nostra convivenza migliora tranne che nei rapporti tra uomo e donna. Il femminicidio e’ l’uccisione di una donna in quanto “donna”, in un’ottica culturale in cui l’assoggettamento e l’esercizio del potere dell’uomo diventano legittimi. Abbiamo alle spalle un duro mondo patriarclale, ora c’è l’illusione di vivere in un universo piu’ affrancato dai pregiudizi, più rispettoso dei diritti e piu’ libero per tutti. Un mondo sicuro per donne libere tanto quanto gli uomini non dovrebbe essere ad oggi una sola utopia. Battiamoci per un mondo civile.

Beatrice Bartolomei

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