“O MARACANAÇO“

“Perez serve Ghiggia che si infila tra le maglie bianche della difesa brasiliana, tira, ed è goal!! 1-2 Uruguay!”. Questo goal segnato nello stadio intitolato a “Mário Filho” sancì la vittoria del mondiale 1950 per Uruguay; il nome dello stadio non vi dice niente? Bene sappiate che oggi è conosciuto universalmente con il nome di “Maracanã”. Il nome che tutti conoscono è peraltro legato al disastro calcistico che prende il nome di “Maracanaço”.

Era il mondiale del 1950, si giocava in Brasile, la fase finale del torneo si sarebbe svolta con un girone all’Italiana tra Spagna, Svezia, Uruguay e la squadra favorita per la vittoria: Il Brasile. L’undici guidato da Flavio Costa era favorito non solo dal fattore campo ma anche per il fatto di poter schierare grandi campioni il primo dei quali era Ademir; senza contare che aveva surclassato tutte le squadre incontrate fino a quel punto. 16 luglio 1950, ultima partita del girone, Brasile-Uruguay, si gioca al Maracanã, era stato tutto previsto: cerimonia, corteo, coppa; del resto non si trattava neppure di una vera e propria finale e al Brasile sarebbe bastato un pareggio per concludere il girone in testa alla classifica. Tutto, dunque, era stato preparato, tranne la vittoria dell’Uruguay. Il primo tempo fu senza goal, la difesa dell’Uruguay resse ai continui attacchi della nazionale brasiliana. Al 55’ del secondo tempo Friaça apre le marcature, portando in vantaggio il Brasile. Al 66’ risponde Schiaffino, ed è il pareggio dell’Uruguay; nonostante nulla fosse ancora compromesso, la squadra subì un duro colpo e smise praticamente di giocare. Tredici minuti dopo fu Ghiggia a battere Barbosa, il portiere dei cariocas, e a portare in vantaggio l’Uruguay. Il goal gelò il Maracanã. Il fischio dell’arbitro si abbatté sul Brasile come una condanna: non poche persone sugli spalti vennero colte da infarto, delle quali dieci morirono, ad esse si aggiunsero due suicidi; questo solo all’interno dello stadio. In tutto il Brasile vennero proclamati tre giorni di lutto nazionale. Molte altre persone si tolsero la vita, sia per la delusione, sia perché avevano scommesso, e quindi perso, tutto sul Brasile; alla fine sarebbero stati certificati 34 suicidi e 56 morti per arresto cardiaco in tutto il paese. Non venne tenuta nessuna premiazione per l’Uruguay, Jules Rimet (presidente della FIFA) riuscì a malapena a consegnare la coppa a Obdulio Varela (capitano dell’Uruguay) e a stringergli la mano. Furono molte le conseguenze per i giocatori del Brasile, ma la condanna più grave toccò al portiere Barbosa che, per il resto della sua vita, venne accusato di essere il maggior responsabile della sconfitta del Brasile. Dopo questo evento, definito dalle stampe brasiliane: “Nossa Hiroshima”(la nostra Hiroshima), la Seleção non giocò più una partita per i successivi due anni. Inoltre la Federcalcio brasiliana, a scopo scaramantico, decise di cambiare la divisa storica (maglietta bianca con colletto blu e pantaloncini e calzettoni bianchi) con la divisa azzurra che indossa tutt’ora e, nel 1954, con la divisa verde-oro che divenne, ed è ancora oggi la loro prima maglia, da cui deriva anche il nome di “nazionale verde-oro”.

Alessandro Vestrella

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