Premessa: se leggendo “emo” vi sono tornati in mente Tokio Hotel o gruppi simili siete fuori strada, quella è stata solamente una moda che si era impadronita di un nome che non gli apparteneva. Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza.
Siamo nel distretto di Washington e corre l’anno 1984. Zen Arcade, il disco cult degli Hüsker Dü è appena uscito e ha segnato un punto di rottura con il classico hardcore suonato fino a quel momento. Si vide quindi la nascita di molti nuovi modi di fare punk e uno di questi divenne quello che ad oggi è definito come “emotional hardcore”.
Caratteristiche di questa corrente sono un’attenzione più marcata al tecnicismo nello strumento e soprattutto la scelta di cantare in modo più melodico e meno urlato rispetto all’HC (sigla che sta per “hardcore”) tradizionale. Fra i complessi più rilevanti di questa ondata spiccano i mitici Fugazi di Ian MacKaye e i Rites of Spring di Guy Picciotto. L’emocore (emocore, o semplicemente emo, è abbreviazione di “emotional hardcore”) classicamente inteso arrivò però una decina di anni dopo. Questo è più intenso sul piano melodico, in bilico tra un suono dolce e malinconico ed improvvise sfuriate strumentali o vocali, inoltre più incisivo sul versante lirico, con testi introspettivi, spesso strazianti. Qui le band da citare sono veramente tantissime, ma se dovessi fare una selezione, sceglierei i Cap n’Jazz e i Joan of Arc dei fratelli Kinsella, i Mineral con il disco The Power of Failing ed i The Get Up Kids.
Ma veniamo ora al fulcro dell’articolo; cos’è l’emo al giorno d’oggi? Seppur il grande pubblico lo ignori, dalla fine del decennio appena terminato, un gran numero di band, americane e non, ha dato vita a quello che può essere definito un “revival” della musica emo. Dal resto d’Europa e da oltre-oceano la spinta è, come al solito, molto forte; i progetti sono tanti e, sebbene siano fortemente influenzati dai grandi dei ‘90, hanno tutti trovato un proprio stile caratteristico. Da citare ci sono i gruppi dell’etichetta Topshelf Records, (You Blew It! e Crash Of Rhinos in primis), oppure i Joyce Manor, gli Algernon Cadwallader o gli Everyone Everywhere.
Com’è invece la situazione qui nello stivale? Incredibile crederci, ma in questo caso il bel paese sta sfoggiando una validissima scena, tranquillamente paragonabile a quelle dei colleghi britannici o statunitensi. Ci sono i milanesi Fine Before You Came, che dopo anni di testi in inglese hanno iniziato a cantare in italiano, pubblicando nel 2009 “s f o r t u n a”, il disco che li ha consacrati fra le migliori band italiane degli ultimi anni; i Gazebo Penguins, scatenatissimo trio di Correggio (il paese di Ligabue, nda); i genovesi Do Nascimiento e tanti altri come i Verme (ormai sciolti) o i Lantern. Un altro grande punto a favore dell’Italia è dato da gruppi che sono annoverati fra i “capostipiti” dello screamo, una versione più dura e strillata dell’emo. La Quiete sopra tutti, ma anche Raein e The Death of Anna Karina; queste band, seppur ignorate dai più, sono nomi veramente di culto fra gli appassionati del genere e ci sono invidiate in tutto il mondo. L’emocore, a parer mio, è un genere che merita molto e la sua forza consiste nel fatto che con un semplice arpeggio di chitarra riesce a colpirci, i momenti di musica collettiva ci travolgono e tutte le frasi urlate arrivano dritte al cuore, specialmente per via dei testi che sono volutamente “vaghi” e lasciati alla libera interpretazione, così che ogni verso possa assumere un valore più intimo e differente fra una persona e un’altra. Lo scopo di quest’articolo fondamentalmente è quello di farvi conoscere una realtà musicale italiana (e non) molto attiva e in fermento che però resta poco conosciuta, probabilmente perché raramente promossa dai media attuali. Spero di avervi dato qualche input e concludo dicendovi che i dischi di quasi tutti i gruppi citati si scaricano legalmente in “free-download” dai loro siti ufficiali, quindi non avete scusanti per non ascoltarlo almeno una volta.
Simone Trequattrini
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