Come può una “assenza” essere così presente?

Tecnicamente il tocco di un artista è ciò che determina, qualifica,
differenzia, la sua opera da qualunque altra esistente.
Verga non fa eccezione: difatti tutti i suoi lavori sono resi
attraverso una assoluta eclissi del narratore. Scelta precisa e mirata, sicuramente
rivoluzionaria e originale rispetto a quelle dei periodi immediatamente
precedenti e contemporanei (Naturalismo francese incluso)
ma sempre scelta.

Egli infatti va oltre alla volontà naturalistica di rendere
lo scrittore uno scienziato che analizza e studia la società così come un
fisico il moto di un corpo e ne trae una poetica più assoluta e coerente.
La società per quanto resa migliore dal progresso non è mai cambiata né
cambierà mai: in accordo con le teorie darwiniane, Verga la definisce
come una continua lotta degli individui per la sopravvivenza (in cui il più
forte vincendo, sopraffa i più deboli). Dato che esso è immutabile, Verga
si limita a descriverla e analizzarla, mettendo in luce la nuda realtà senza
però poter in alcun modo fornire giudizi e soluzioni. Toriniamo
così al punto: la scelta dell’eclissi del narratore. Quale
miglior modo esiste per raccontare la realtà se non quello di
riportare vicende verosimili senza che esse passino, almeno
idealmente attraverso il filtro dell’autore? Per raggiungere
tale scopo il narratore diventa parte integrante della vicenda
e come tale la descrive con un linguaggio affine al contesto
(rifiutando però l’uso dialettale), ragionando, pensando, riflettendo
e soprattutto facendo intuire ciò che un individuo
in quel contesto e di quel contesto penserebbe, direbbe. Verga
diventa quindi “uno di loro”, regredisce culturalmente e a
seconda di quale sia l’ambito narrato. In tal modo possiamo
osservare in una logica altrui strettamente pregiudiziaria, che
Rosso Malpelo ha i capelli rossi perchè ha pensieri malvagi,
che i malavoglia conseguono sempre cattivi risultati nonostante
i loro buoni propositi e che il capace Mastro-don Gesualdo
è ricco ma per questo odiato sia dagli appartenenti alla
sua stessa classe d’origine, sia da quella a cui vorrebbe appartenere.
Questi personaggi, ad eccezione di Malpelo, rientrano
nel ciclo dei vinti: l’autore sceglie come soggetto coloro che
dalla quotidianità della lotta della vita escono in frantumi,
“vinti” appunto, sconfitti. Nel primo livello i Malavoglia, la
famiglia martoriata dalle sfortune arriva a sfaldarsi e a perdere
la propria dignità, ilc proprio lavoro, la propria casa.
Essa è mossa dai buoni valori fondamentali della vita sociale,
ma il pessimismo di verga ed il suo determinismo rendono i
buoni proponimenti sempre mal interpretati e portano alla
conclusione che essi non sono necessari,
anzi controproducenti nella vita. La famiglia non potendo/volendo /riuscendo
ad adattarsi ai cambiamenti che si susseguono, finisce per soccombere
perchè non c’è via di scampo se non l’immobilità sociostorica.
Grazie alla tecnica narrativa tali mutamenti non sono nemmeno visibili
agli occhi dei “protagonisti” abituati come sono alla staticità che lki ha
sempre caratterizzati, ma diventano evidenti agli occhi del lettore.
Un caso a perte rappresenta la consapeviolezza del giovane ‘Ntoni, che
dopo aver vistio “il mondo”, torna al suo piccolo paesello e sentendosi
fuori luogo, fugge lontano da esso. La sua difficoltà è compatibile conlo
straniamento di un uomo che non sa cosa desidera, né dove cercare non riconoscendosi
più nella classe sociale in cui è nato. “…mi è parso ora di leggere una fatale necessità
nelle tenaci affezioni dei deboli, nell’istinto che hanno i piccoli
di stringersi tra loro per rersistere alle tempeste della vita”
Egli sogna una grande ricchezza, ma si rifiuta di faticare
come fanno i suoi contadini. “ Allorquando uno di quei
piccoli, o più debole o più incauto, o più egoista degli altri
volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama
di meglio, o per conoscere il mondo, il mondo, da pesce
vorace com’è, se lo ingoiò e i suoi più prossimi con lui.”
Le cause profonde, ma non esplicitate, delle difficoltà del
giovane ‘Ntoni vanno ricercate nella nascente indistrializzazione
che stava prendendo piede in Italia, nella recente
unificazione, che in molti casi fu più un probelma che
un successo nel proliferare delle prime innovazioni tecniche,
vissute con sospetto e sfiducia, ; ultimo , ma non per
importanza, era il secolare fenomeno dell’analfabetismo .
Emblematici per rappresentare indirettamente la povertà culturale/
ideale delle masse sono i due scorci delle masse in rivolta
nella novella “Libertà”, offerti nei documenti I,II, III dove viene
descritta come una marea informe di individui che prima
che i loro diritti, protestano e reclamano per possedere ciò che
non hanno. Essi scendono in piazza reclamando terre supponendo
che, ricevendole, essi potranno essere uguali ai ricchi.
Coniuguando il possesso ossessivo delle terre in “la Roba”
e le aspirazioni di ‘Ntoni si maura la figura di Mastro-Don Gesualdo.
Egli finirà per predere tutto: dagli affetti della famiglia agli amati
soldi, dilapidati dalle sue due donne. Ne emerge quindi la figura
di un vinto sotto ogni lato umano. La sua figura è contraddittoria:
Gesualdo necessita di affetto, ed è egli stesso pronto a darne, come
è pronto ad aiutare padre e fratelli e cercare un rapporto con la moglie
e la figlia. Tutti i suoi slanci umani però, per quanto positivi,
sono quasi inconsciamente subordinati a quello per l’accumulo.
Egli è prima di tutto, percò, una vittima della nascente società
liberista. Le opere verghiane sono ricche di antieroi
che con i loro difetti, errori, fallimenti, mettono in evidenza
una visione lucida di una società sconcertante e piena
di contraddizioni, per la quale non esiste rimedio né soluzione.
In Verga autore non sembra esserci empatia nei confronti
delle sue creature e per questo, forse come dice Asor
Rosa, la sua descrizione del popolo rimane la più autentica.
Lorenzo Apostolico 5F

Il Saggiatore

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