Malala Yousafzai

Cattura

La redazione di “Times Magazine” ha scelto la persona dell’anno: Angela Merkel. Questa scelta ha provocato molte controversie nella stampa europea. Bisogna riconoscere i pregi della Merkelm per esempio, come ha risposto al gigantesco flusso di rifugiati siriani che si sono riversati nel continente europeo: a braccia aperte.

In questo la decisione della Cancelliera è un esempio da prendere. Negli Stati Uniti, Angela Merkel è vista come una leader semplice, quindi la decisione del Times, che in fondo è fondato ed opera nel Nuovo Mondo, non è qualcosa di sorprendente. Invece, in Europa la figura della leader tedesca è considerata piena di contraddizioni; la sua posizione ferrea sul debito della Grecia è difficile da dimenticare. Ma, considerando che tra gli otto finalisti c’erano Abu Bakr Al-Baghdadi – leader di ISIS – e Donald Trump, la
scelta non è stata poi così difficile. Comunque, se il Time può nominare qualcuno, anche noi del Saggiatore – da buoni galileiani – non ci tiriamo indietro e accettiamo l’ardua sfida, nominando come persona dell’anno 2015 Malala Yousafzai.

LA VITA

Malala nasce il 12 Luglio 1997 in Mingora, Pakistan. Il padre, Ziauddin, fondò una scuola per i ragazzi della zona e, tra lo scrivere poesie ed il discutere di politica, influenzò molto il pensiero di Malala. Egli non solo spinse la figlia allo studio, ma le fece sempre ascoltare i discorsi di politica a cui partecipavano solo gli uomini della famiglia. Malala cominciò a
frequentare la scuola del padre, mentre la sua regione del Pakistan Nord-Occidentale cominciava ad essere invasa dai Talebani. Essi portavano uno stile di vita completamente diverso da quello a cui erano abituati i Pakistani, tra cui il divieto alle
donne di andare a scuola. Nel 2008, Malala viene portata dal padre al rinomato “Club di Giornalismo” a Peshawar, dove le viene chiesto di tenere un discorso. “Come osano i Talibani togliere il mio diritto ad un’educazione?”, Malala chiede
incessantemente agli spettatori. Il suo discorso verrà poi riportato dai giornali e dalle televisioni in tutta la regione. L’anno seguente, Malala comincia a far parte di un programma per giovani pakistani – creato dall’organizzazione non-profit
“Institute for War and Peace Reporting” (o semplicemente IWPR) – che si reca in varie scuole per invogliare i giovani a discutere sulle questioni sociali, dando ampio spazio al dibattito, al giornalismo ed al dialogo.

GUL MAKAI

Alla fine del 2008, visto che la situazione in Pakistan cominciava a precipitare, la BBC decide di creare un blog dove una ragazza pakistana poteva scrivere anonimamente sul cambiamento che stava vivendo. Una specie di diario di Anna Frank, diciamo. Malala fu l’unica a farsi avanti, con il supporto – come sempre – del padre, e adottò il nome Gul Makai, che in Urdo significa fiordaliso. I Talebani emanano un editto che vieta alle ragazze di andare a scuola il 15 Febbraio 2009, dopo aver già fatto saltare in aria un centinaio di scuole femminili. Nei giorni successivi, Malala scrive nel suo blog che, dei 700 studenti della scuola del padre, erano venuti a scuola solo in 70. Proprio il 15 Febbraio, il governo
Pakistano ed i Talebani firmano un accordo di pace e gli estremisti acconsentono alle ragazze di andare a scuola, ma con l’obbligo di indossare il burqa. Invece, la guerra riprende e Malala smette di scrivere sul blog a Marzo. Nello stesso periodo, la sua città natale viene evacuata e la sua famiglia è costretta a rifugiarsi nei territori controllati ancora dal governo pakistano. Il “New York Times” decide di girare un breve documentario su Malala e le sue lotte. In esso ella dirà: “Ho un nuovo sogno… Devo diventare un politico per salvare questo paese. Ci sono così tante crisi nel nostro paese ed io le voglio rimuovere.”. Malala acquista sempre più notorietà: nel 2011 viene nominata per l’“International Children’s Peace Prize”, che vincerà due anni dopo, e vince il primo “National Youth Peace Prize” in Pakistan – che in seguito verrà rinominato in suo onore “National Malala Peace Prize”. Nel frattempo il governo riesce a riprendere dai Talebani alcuni dei territori e la famiglia Yousafzai può ritornare a casa ed alla tanto amata scuola.

L’ATTENTATO

I Talebani continuano comunque ad avere una grande influenza e Malala, a causa della grande notorietà acquisita, comincia a ricevere minacce di morte – pubblicate persino sui giornali, oppure in lettere lasciate davanti la porta di casa, o su Facebook, dove aveva un gran seguito. Un ex-portavoce dei talebani ha detto che essi sono stati “costretti” ad agire.
In una riunione tenutasi nell’estate del 2012, i leader talebani hanno deciso all’unanimità di assassinare Malala. Sulle minacce ella dirà: “Anche se vengono ad uccidermi, io dirò loro che quello che stanno cercando di fare è sbagliato e che l’istruzione è un nostro diritto fondamentale.” Il 9 Ottobre del 2012, mentre tornava da scuola, un uomo sale sull’autobus
e le spara un solo colpo in faccia. Il proiettile le entrò nella parte sinistra del cranio, ed attraversò il collo finendo nella spalla. Malala viene portata all’ospedale militare di Peshawar ed in seguito nel Regno Unito, per ricevere ulteriori cure. L’attentato
ha ricevuto una copertura mediatica mondiale e ha prodotto un’ondata di reazioni. In Pakistan, il giorno dopo l’attacco si sono svolte proteste in diverse città, ed oltre 2 milioni di persone hanno firmato una petizione per il diritto all’istruzione, che ha portato alla ratifica della prima legge sul diritto all’istruzione pubblica, ed obbligatoria in Pakistan.

IO SONO MALALA

Dopo cinque mesi, Malala si riprende e continua la sua attività, rimanendo nel regno Unito ed iscrivendosi ad una scuola a Birmingham. Tiene discorsi in varie istituzioni, tra cui quello – forse il più famoso – alle Nazioni Unite. Con suo padre diventano subito i più strenui difensori delle milioni di ragazze a cui viene negata l’istruzione per impedimenti sociali, economici, culturali e politici. Così, nel 2013, Malala e Ziauddin creano il “Malala Fund”, per portare consapevolezza dell’impatto sociale ed economico che può avere l’istruzione femminile e per consentire alle ragazze di tutto il mondo di far sentire la propria voce, raggiungere i propri obbiettivi ed esigere un cambiamento. Nell’Ottobre dello stesso anno, con l’aiuto della giornalista Christina Lamb, Malala pubblica la sua autobiografia, intitolata “Io sono Malala”. Nel 2014, ha rimproverato il governo nigeriano per non aver ancora trovato le studentesse rapite da Boko Haram ed ha chiesto al presidente Obama di inviare libri ed insegnanti in Medio Oriente, invece di armi e droni. Ad Ottobre dello stesso anno è diventa la più giovane vincitrice del Premio Nobel: le viene dato il premo Nobel per la Pace, assieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi. Quest’anno, per festeggiare il suo diciottesimo compleanno, Malala si è recata in Libano ad inaugurare una scuola femminile per le giovani profughe siriane nella Valle libanese Orientale della Bekaa. “A nome dei bambini di tutto il mondo, esigo che i nostri leader investano in libri, invece che in proiettili. Saranno i libri, non i proiettili, a spianare la strada
verso la pace e la prosperità. Le nostre voci continueranno a diventare sempre più forti fino a quando vedremo i politici ed i nostri governi investire nell’educazione della gioventù, piuttosto che nella guerra”, ha detto Malala all’inaugurazione. Inoltre, questo Ottobre è uscito il documentario dedicato a lei ed intitolato “Mi ha chiamata Malala”, diretto da Davis
Guggenheim (lo stesso regista di “Waiting for Superman”): un documentario di denuncia dello stato delle scuole pubbliche negli Stati Untiti. A Settembre, Malala ha parlato al Vertice per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, invitando i leader mondiali a garantire che ogni bambino abbia il diritto ad un’istruzione primaria e secondaria sicura e gratuita.

Laura Josephine McNeil

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