Quando il Punk arrivò a Bologna

Non sarà una delle città più popolate e grandi d’Italia, ma Bologna, per la sua strategica collocazione geografica e per l’alacrità dei suoi abitanti, ha spesso rivestito un ruolo fondamentale in molti settori della vita nazionale. Inoltre, il fatto di essere sede della più prestigiosa università italiana, ha fatto di Bologna una città “giovane” e quindi fondamentale nel panorama della musica “alternativa” italiana.

Fu proprio a Bologna, infatti, che sul finire degli anni settanta (in un clima di libertà creativa che non è fuori luogo definire eccezionale), iniziò a diffondersi il punk che tanto stava spopolando in America e soprattutto in Inghilterra.
Il primo brano punk italiano, “Mamma dammi la benza”, fu inciso su cassetta dai felsinei Gaznevada nel 1977 e divenne subito uno dei pezzi più passati dalla bolognese Radio Alice, emittente indipendente molto famosa in quegli anni, sia per i suoi innovativi metodi di comunicazione che per il suo ruolo politico in un contesto “caldo” come quello degli anni settanta.
Il grande pubblico non era conoscenza della velocissima diffusione che il genere stava avendo ma i nuovi gruppi punk andavano moltiplicandosi, le etichette che pubblicavano i loro album (ma più spesso cassette) sempre più numerose e le “fanzine” che li recensivano iniziarono a circolare in numero crescente tra gli appassionati. Ai primi concerti parteciparono band come gli Skiantos, i già citati Gaznevada e complessi “new wave” come i Confusional Quartet.
Questa prima ondata punk (bolognese e non solo) era però destinata a durare poco: essa iniziò a subire ben presto un cambiamento che l’avrebbe portata verso sonorità più dure e testi più politicizzati nei quali trovavano posto orientamenti anarchici e pacifisti, talvolta nichilisti.
E, guarda caso, quella bolognese fu la prima scena ad abbracciare la nuova ondata hardcore proveniente dal nord Europa: band come i RAF Punk, i Raw Power e gli Irha ebbero presto un gran seguito. Ma la nascente scena hardcore non si limitò soltanto al capoluogo emiliano e si diffuse anche a Roma, Milano, Pordenone, Torino: l’hardcore punk divenne un genere molto amato da una certa fascia di giovani, che nei testi di gruppi come i Negazione, i Wretched, i Kina e tantissimi altri trovavano l’espressione concreta del loro rifiuto di un ordine sociale contro cui ci si poteva schierare a partire dalla passione per la musica . Questo nuovo filone durò per tutti gli anni ottanta, raggiungendo punte di notevole successo che portarono l’hardcore italiano a essere uno tra i più influenti del mondo.
Torniamo però indietro alla Bologna dei primi anni ottanta: tra i gruppi che l’etichetta Attack Punk Records promuoveva, c’era una band di Reggio Emilia che credo sia doveroso citare, anche se certamente la loro musica non può essere definita semplicemente punk, i CCCP- Fedeli alla linea. Nati nel 1982 dall’incontro del chitarrista Massimo Zamboni e del cantante Giovanni Lindo Ferretti, i CCCP furono un gruppo capace di unire (con un effetto sorprendentemente innovativo) elementi del liscio romagnolo, della new wave e del punk. Nel corso della loro carriera pubblicarono quattro album, tutti contraddistinti da un suono che essi stessi definivano provocatoriamente “filosovietico”. La band cessò la sua attività (per poi riprendere come CSI) nel 1990, parallelamente allo scioglimento dell’ Urss. All’inizio degli anni novanta il punk iniziò ad essere affiancato, e velocemente messo da parte, dall‘ hip hop di importazione americana che, arrivato in Italia alla fine del decennio precedente, smise di essere un genere di nicchia per pochi appassionati e si diffuse con forza un po’ in tutta la penisola, pur rimanendo ancora per parecchi anni un fenomeno poco seguito da televisioni e radio.
Il movimento affonda le sue radici (per quanto concerne l’hip hop fatto in lingua italiana) in quello che viene considerato il primo album di hip hop nostrano: Batti il tuo tempo del collettivo romano Onda Rossa Posse (che presto assunse il nome di Assalti frontali, gruppo tuttora in attività). Il rap dunque, fu connotato nei primi tempi da una dimensione prettamente politica, legata al movimento studentesco della Pantera e dei centri sociali.
Bologna come al solito non rimase a guardare e nel corso degli anni novanta sfornò una serie di artisti di tutto rispetto: Camelz Finezza Click (gruppo poco conosciuto ma dotato di uno slang originalissimo che ha fatto scuola), Isola Posse All Stars (tra i primi a fare rap in Italia, ebbero vita breve ma segnarono un punto fondamentale per lo sviluppo dell’hip hop italiano), Sangue Misto (in cui confluirono dall’Isola Posse Deda e Neffa, assieme a DJ Gruff) e Joe Cassano, che nonostante la prematura scomparsa a soli venticinque anni, riuscì ad incidere dei brani che vengono considerati dei pilastri del genere. Ci sarebbero ancora decine e decine di artisti da citare (di Bologna e non solo) ma questo richiederebbe un altro articolo. Ho qui proposto soltanto qualche ascolto che potrebbe essere interessante non solo da un punto di vista strettamente musicale, ma anche per capire meglio la nostra storia recente: musica e mentalità di un popolo vanno a braccetto, basta guardarsi intorno.

Alberto Ceccacci

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