Riflessioni a posteriori sulla nostra ‘giocascuola‘

La riforma della scuola è uno dei punti di forza di ogni governo italiano, si potrebbe dire fin dalle sue origini appena post-unitarie, per arrivare al più presente
dei presenti. L’iniziativa tentativo che, esulando dalle disquisizioni macro dattico-pedagogiche delle Commissioni preposte alla cultura, ha
svolto proprio il semplice assunto dell’imparare divertendosi.

Principi anche complessi della geografia economica hanno trovato applicazione e veicolo d’apprendimento in giochi di gestione delle risorse come “Puerto Rico” e
“Kingsburg”, dove le pagine ed i grafici dei manuali di testo prendono vita sul tabellone della colonia spagnola (Puerto Rico), o di una corte medievale e dei suoi intrighi di castello
(Kingsburg). Espressività, intuizione e sentimento fanno da corollario a questa attività – con “Dixit”, “Il Piccolo Principe” e “Concept”- che si configura come uno stile di vita assolutamente positivo per la possibilità offerta ai ragazzi di confrontarsi in modo consapevole, valorizzando tutte quelle informazioni e competenze che non sanno di avere. Per questi strumenti, la definizione di giochi ne presenterebbe in maniera riduttiva il potenziale educativo, poichè solo la percezione “in loco” del coinvolgimento degli
studenti ne assicura la piena comprensione. Durante l’attività, infatti, nessuno ha avvertito
l’inevitabile necessità di consultare il telefono cellulare, nessuno ha avuto l’altrettanto inevitabile impellenza di recarsi ai servizi o preoccuparsi del proprio sostentamento alimentare (non c’è sarcasmo, solo un tocco di partecipata ironia). La Spagna ha compreso e riscoperto il nesso tra sistema ludico e didattica, decidendo di proporre gli scacchi come attività obbligatoria nella scuola (Alessandro Oppes, Scacchi obbligatori
nelle scuole spagnole: “Allenano la mente” ne ‘La Repubblica’, del 13 febbraio 2015). Va bene l’informatica, indispensabile nell’era della smaterializzazione dei procedimenti amministrativi, come veicolo di risparmio di tempo e denaro, ma la creatività, quella concreta, fisica, faccia a faccia, non è sostituibile da surrogati digitali e, come tale, va salvaguardata anche, se non soprattutto, nelle sedi di formazione dei ragazzi.

P. Monico

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