Birdman, ovvero l’ego dell’artista

Lo scorso 22 febbraio si è svolta l’ 87° cerimonia degli Oscar, i film candidati ai premi erano circa quaranta, quelli che hanno ricevuto il maggior numero di candidature (nonché i vincitori) sono stati Birdman di Inarritu e Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.

Entrambi candidati a 9 premi Oscar, se ne sono aggiudicati 4 ovviamente in ambiti diversi. Il premio al miglior film è andato a Birdman che, insieme a quello di migliore regia, migliore sceneggiatura originale e miglior fotografia si è aggiudicato il primato di questa edizione. Il film del regista messicano è un’opera d’arte semplice ed imperfetta al punto giusto che tende ad andare controcorrente sia nel messaggio che vuole comunicare, sia nei modi in cui vuole comunicarlo. Il valore artistico di questo film è conferito dalla presenza di ironia, di materia surreale e di una fotografia eccezionale. Quest’ultima è realizzata perfettamente e coinvolge lo spettatore catapultandolo all’interno del film, inoltre, ciò che fa tenere costantemente l’attenzione alta è il fatto che non sono presenti ciak che potrebbero interrompere lo sviluppo degli eventi, ma ne è presente solo uno che rende i cambi di scena fluidi e continui. È anche, e soprattutto grazie a questo fattore, che il film risulta emozionante in ogni momento della storia e tramite suspence, colpi di scena, momenti di felicità, dialoghi interessanti giunge ad avere un grande impatto visivo e sentimentale nello spettatore.

Il nome “Birdman” è il nome col quale il Riggan Thompson aveva acquistato notorietà globale come supereroe alato e mascherato. Nonostante la sua celebrità, che tuttavia non gli bastava, il protagonista vuole dimostrare anche di essere un buon attore di teatro. Nel film egli ha molti dialoghi interiori con se stesso “in versione Birdman”, ed è proprio in questi momenti che si passa alla dimensione surreale del film. Aldilà dell’aspetto tecnico, la cosa più sensazionale del film è il messaggio che si vuole comunicare. Un messaggio di denuncia contro la strumentalizzazione del talento e dell’immagine di artisti a contatto col mondo del teatro, una denuncia posta dal regista in modo fine ed elegante.

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