«Sono un gentiluomo, è l’unica certezza che ho»

Una nobiltà decaduta, persa nei suoi agi e nelle sue ricchezze; un’alta borghesia nel tentativo disperato di intonarsi con le meraviglie di una Roma d’altri tempi, della quale tuttavia non emerge che mera decadenza. Questi gli ambienti descritti rispettivamente da Parini e da Sorrentino: “Il Giorno” e “La Grande Bellezza” trattano infatti temi simili.


Nel caso de Il Giorno, Parini dà vita al “precettore”, completamente immerso nel mondo di frivolezze e vacuità della nobiltà settecentesca. Questo personaggio appare fortemente in contrasto con quelli che sono i veri ideali del poeta: infatti, elogia e blandisce con ironia antifrastica la mentalità, gli usi e i costumi del suo “giovin signore”, tipico esponente della nobiltà parassitaria settecentesca. Il procedimento adottato dall’autore è da intendere come un espediente per veicolare la satira della bassezza del mondo aristocratico. Parini esalta queste sue caratteristiche con uno stile letterario alto e magniloquente, che prende ispirazione dalla grande tradizione della letteratura classica anche per indicare le azioni e gli oggetti più banali, come uno sbadiglio o la scelta del caffè o della cioccolata per colazione, esagerando e mettendo così in risalto la misera banalità dell’aristocratico. Si tratta di un’iperbole intrisa non di un riso pungente, ma di limpido sdegno da parte del poeta.
Al contrario del “precettore”, in “La Grande Bellezza” Jep Gambardella, disincantato giornalista sessantacinquenne magistralmente interpretato da Toni Servillo, è da lungo tempo inserito in quella che è la fauna letteraria e intellettuale che popola Roma, in quello che lo stesso Jep definisce “vortice della mondanità”, e, pur essendo in stretto contatto con questa borghesia modaiola e culturalmente presenzialista e pretenziosa, non riesce a sentirsi parte effettiva di essa. Il disagio messo in scena da Sorrentino è sapientemente dimostrato dai frequenti primi piani sul volto straniato di Jep nel bel mezzo delle feste o degli incontri di queste élites e attraverso sporadiche battute, dirette ad un pubblico attento. Esempio calzante è: “Sono un gentiluomo: è l’unica certezza che ho”, che lascia intendere come il protagonista si senta fuori luogo e disorientato dall’ambiente in cui si trova.
Quest’atteggiamento che porta a non aderire autenticamente alla realtà, traspare anche nella “Lettera semiseria di Grisostomo” di Berchet: “Per lo contrario un Parigino agiato ed ingentilito da tutto il lusso di quella gran capitale, onde pervenire a tanta civilizzazione, è passato attraverso una folla immensa di oggetti, attraverso mille e mille combinazioni di accidenti. Quindi la fantasia di lui è stracca, il cuore allentato per troppo esercizio. Le apparenze esterne delle cose non lo lusingano (per così dire); gli effetti di esse non lo commuovono più, perché ripetuti le tante volte. E per togliersi di dosso la noia, bisogna a lui investigare le cagioni, giovandosi della mente”.
Il “precettore”, i Parigini e Jep vivono in un vuoto privo di slanci, in un’estraneità, in una lussuosa incapacità (cosciente nell’ultimo esempio e per questo più dolorosa) di apprezzare la multiformità della vita, nella sua miseria e nel suo splendore: rappresentano una tipologia umana limitata e monca, e questa volta non per privazione o ignoranza.

Edoardo Palumbo
Annalisa Battistelli

Annalisa Battistelli

Ultimi post di Annalisa Battistelli (vedi tutti)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *