Ohi Maria!

A cosa sono serviti anni e anni di ferreo proibizionismo? Proibire qualcosa significa investirlo di un nuovo e irresistibile fascino dal quale giovani e adulti sono irrimediabilmente attratti. Ogni politica che combatte l’uso di sostanze dannose vietandone la produzione, il commercio e l’uso è definita proibizionista. La legge italiana sulle sostanze psicotrope è senz’altro definibile come proibizionista. È anche vero che non si può – e non si deve – generalizzare parlando di sostanze dannose, poiché tra esse sono annoverate tutte le sostanze psicotrope, senza distinzione tra droghe leggere e pesanti, eccezion fatta per alcol e tabacco.

La pericolosità di una sostanza è commisurata al numero di decessi che provoca direttamente e indirettamente, al grado di dipendenza che suscita nel soggetto e ai danni che arreca a breve e a lungo termine all’organismo.
Mettiamola così: un alcolista, un fumatore e un consumatore di cannabis si ritrovano al bar. Il primo ordina “il solito”, il secondo accende la ventesima sigaretta della giornata, il terzo li guarda beato ben sapendo che il vizio non lo porterà né ad una “sana” epatite né tantomeno ad un “salutare” cancro ai polmoni; infatti danni cronici all’organismo dovuti all’assunzione di cannabis si presentano in soggetti che fumano dalle 20 alle 40 canne al giorno, mentre la dose letale è stimata a circa trentamila spinelli fumati contemporaneamente.
Ma allora come mai alcolici e sigarette vengono tanto pubblicizzati a differenza della marijuana che è ancora illegale? Ovviamente a causa del gigantesco mercato che c’è dietro. Dai primi del Novecento fino agli anni Trenta, la canapa conobbe un boom commerciale, i costi di produzione erano molto bassi e i risultati ottimi (esistevano infatti carburanti, cibi, addirittura i primi jeans furono creati dalle vele delle navi fatte anch’esse di canapa); quest’esplosione venne però bloccata da una serie di accordi tra le più importanti industrie tessili, farmaceutiche e petrolifere americane [cfr. Mazzucco, La vera storia della marijuana]. Questi accordi portarono alla criminalizzazione della pianta e dei suoi derivati attraverso una svalutazione mediatica che però prendeva in esame solamente la parte riguardante la droga. Questo è il motivo per cui noi oggi ne conosciamo pochissime applicazioni.
Paesi come l’Olanda, l’Uruguay e il Colorado hanno iniziato un’inversione di tendenza, depenalizzando la produzione, l’uso personale e il commercio di quantità limitate di marijuana (per es. i coffee-shop olandesi); in questo modo non solo il governo ricava introiti dalla tassazione della merce, ma viene anche indebolito il narcotraffico. Inoltre in questi paesi, cosa ben più importante, il tetraidrocannabinolo (THC, il principio attivo) viene impiegato in medicina, ad esempio come analgesico, contro l’asma, l’inappetenza da Aids, contro alcuni effetti collaterali della chemioterapia e come tranquillante per l’epilessia o le malattie neurodegenerative. Insomma, proibizionisti, cominciate a ricredervi!

Giulia Titoli

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